Le self-driving cars? Strumenti per ‘riscrivere’ il nostro spazio e tempo

Society Le self-driving cars? Strumenti per ‘riscrivere’ il nostro spazio e tempo

Qual è il sentiment rispetto alle macchine a guida autonoma e in che modo potrebbero cambiare la percezione di spazio e tempo nella vita quotidiana?

Qual è il percepito delle persone rispetto alle self-driving car? E quali impatti avranno sulla nostra società?

Le self-driving car ridurranno il numero di incidenti e aumenteranno la sicurezza, ma non ci fidiamo ancora di loro. È questo uno dei risultati dell’indagine che il Center for Generative Communication (CfGC), il Centro di ricerca sull’impatto sociale dei processi d’automazione dell’Università di Firenze, ha svolto presso il Festival Internazionale della Robotica tenutosi a Pisa nel settembre 2017.

Da molti anni, ormai, i ricercatori del CfGC stanno sviluppando un programma di ricerca sulle auspicabili, possibili, rischiose conseguenze sociali dovute all’arrivo dei robot e alla posizione ormai imprescindibile quanto essenziale dei sistemi d’automazione nella vita di tutti i giorni. Un lavoro in cui si osservano, si analizzano e si sperimentano - la sperimentazione è un aspetto fondamentale della ricerca per non farsi prendere da astrusi quanto fuorvianti dibattiti astratti - le nuove tecnologie. L’obiettivo principale di tale sperimentazione è duplice: 1. rispondere ai bisogni e alle esigenze della società, delle istituzioni e delle imprese per favorire lo sviluppo di una innovazione che valorizzi la dimensione umana e la conoscenza di ogni attore sociale chiamato direttamente e indirettamente in causa; 2. interrogarsi sul tipo di progettualità che sta animando l’arrivo di un mondo così automatizzato, sui fini e sui valori che la animano.

In questa prospettiva, lo studio delle self-driving car rappresenta un elemento centrale dato l’impatto che questo fenomeno potrebbe avere sulla ‘riscrittura’ della mobilità e degli spazi che contraddistinguono la nostra vita. Nel caso specifico delle self-driving car la domanda è: “vogliamo avvalercene, e quindi le stiamo realizzando, per migliorare soltanto la forma di mobilità che già pratichiamo? Oppure vediamo nell’innovazione tecnologica un’occasione storica, se non epocale, per avviare un ripensamento e una riprogettazione totale del sistema che fino ad oggi ha governato lo spazio e il tempo della nostra vita socio-economica?”. Una questione quest’ultima che investe, dovrebbe investire anche le già tante App, e i relativi big data che le ispirano, dedicate alla nostra mobilità. E non solo.

A tal proposito, il panorama delle indagini internazionali riguardanti la percezione dell’avvento delle self-driving car da parte dei consumatori fornisce dei dati poco chiari, ancor meno rassicuranti. Secondo la Consumer Technology Association statunitense, su suolo americano vi è un diffuso entusiasmo per l’avvento delle self-driving car. Già l’indagine del giugno 2016 aveva, infatti, evidenziato che oltre il 62% dei consumatori sarebbe stato disposto a sostituire la propria auto con un mezzo di trasporto senza guidatore, ed oltre il 70% avrebbe avuto, se non altro, interesse a testare una driverless car. Agli ottimistici risultati dell’indagine della CTA hanno fatto da controcanto i sondaggi di opinione condotti dall’American Automobile Association e dal Pew Research Center: secondo la prima oltre l’80% degli\delle intervistati\e non si sentirebbe sicuro su una driverless car e solo il 34% vi condividerebbe la carreggiata; il secondo invece riporta un 56% di intervistati\e che non se la sentirebbe di salire su veicoli a guida autonoma. La principale preoccupazione emersa dai sondaggi è l’impotente dipendenza dalla macchina in cui si ritroverebbero i passeggeri. Nonostante ciò la corsa alla commercializzazione dei veicoli a guida autonoma non sembra aver subìto flessioni, e si conta che nel 2025 sarà un mercato da oltre 83 miliardi di dollari (Frost & Sullivan).

In questo scenario si è collocata l’indagine portata avanti dal CfGC al Festival internazionale della Robotica tenutosi a Pisa nel settembre scorso. Il 97% degli\delle intervistati\e dichiara di conoscere le caratteristiche delle self-driving car, e ritiene che la loro diffusione potrebbe aumentare la sicurezza stradale e cambiare positivamente il nostro modo di spostarci: ma soltanto se saremo in grado di costruire un sistema totalmente integrato e automatizzato. Per il 66% le self-driving car potrebbero rappresentare un vantaggio in quanto porterebbero alla riduzione dell’errore umano. Al contrario per il 10% degli\delle intervistati\e la diffusione delle self-driving car potrebbe rappresentare un rischio a causa della possibilità di perdere il controllo del proprio veicolo. La maggior parte degli\delle intervistati\e, comunque, si dichiara ancora non pronta a distogliere lo sguardo dalla strada, non avendo fiducia in una gestione completamente automatizzata dell’auto.

Ma, soprattutto, quello che emerge da questa ricerca, e non solo, è che un numero minimo di intervistati\e si pone il problema della natura di quelle che sono universalmente definite prospettive future rivoluzionarie. Sia a livello di progettisti e di sviluppatori sia a livello di utenza sono state pochissime le osservazioni che riguardavano la possibilità di ripensare radicalmente il proprio tempo e i propri spazi e relativi movimenti. Che faremo durante il tempo degli spostamenti se non avremo da guidare? Dove andremo, potendo andare ovunque e meglio? Come cambieranno gli obiettivi del nostro lavoro e della nostra vita quotidiana? Verso quale modello sociale, economico stiamo andando? Il sospetto che si cambi tutto per non cambiare nulla, salvo renderlo più efficiente, è forte.

Orientandosi sempre più verso il modello imperante dell’“X as a service”, “Tutto è servizio”, ovvero della sostituzione di beni di proprietà con servizi erogati nel momento esatto del bisogno, il mercato dell’automotive sta certamente proponendo progressivamente una trasformazione profonda ma sulla base di quale progetto sociale, economico? Soprattutto: cosa s’intende per qualità? Una così ampia ‘riscrittura’ degli spazi e dei tempi, pubblici e privati, non può che avere impatti di tipo sistemico. Ma di quale sistema si sta parlando? Se non altro sarebbe necessario che alla progettazione di simili tecnologie partecipassero attivamente portatori di conoscenze e competenze assai diverse, con l’obiettivo di ripensare non tanto la tecnologia ma l’intero modello socio-economico, evitando ulteriori derive. Di cui proprio non avvertiamo il bisogno vista la situazione del nostro pianeta e delle persone che lo abitano. È infatti solo nell’ottica di un community building che l’innovation development acquista senso. Unicamente in questa prospettiva i sempre più complessi contesti in cui viviamo possono essere trasformati in risorse.

Intanto, in attesa del mondo che verrà, perché non consolarsi con un bel sex robot? Dalla già ricordata indagine del CfGC, infatti, cos’altro sono se non elettrodomestici come tutti gli altri?