Le esperienze che attraversano le comunità

Una Visione completamente diversa Le esperienze che attraversano le comunità

Le comunità trasformative sono attraversate da esperienze, che nascono attivando scambi e si evolvono trasformando i partecipanti e gli ambienti che abitano.

Nelle comunità trasformative accade sempre qualcosa, perché non parliamo di strutture statiche, ma di oggetti multidimensionali che liberano relazioni e che – a loro volta – generano interazioni continue. Questi scambi non seguono pattern rigidi e deterministici. Non è questo il loro scopo, perché – altrimenti – ogni dinamica di partecipazione si ridurrebbe a una modalità di esecuzione. Potremmo allora dire che le interazioni tra le persone che abitano le comunità trasformative hanno la forma di esperienze. Usiamo questa parola, alta e impegnativa ma – allo stesso tempo – abusata e desemantizzata, perché include significati profondi che possiamo recuperare. Esperire significa (anche): “essere in grado di dire qualcosa, tentare qualcosa, sentire qualcosa, essere influenzati da qualcosa”. E le dimensioni che abbiamo descritto nell’articolo precedente permettono di fare proprio questo: sono moltiplicatrici di esperienze. E cioè, sommandosi agli spazi e alle attività che le persone svolgono ogni giorno, permettono di vivere qualcos’altro: con nuovi strumenti, nuove risorse, nuovi ambienti, alimentando una nuova visione.

E quindi ecco una prima sintesi delle esperienze nelle comunità trasformati- ve: sono pensate per coinvolgere una moltitudine di attori, territori ed ecosistemi. Sono concrete e mai astratte. Continuano a svilupparsi oltre il raggiungimento di obiettivi contingenti, perché continuano ad adattarsi ed evolversi, a partire da un senso di appartenenza che accomuna al di là dei cambiamenti.

Esperienze non-lineari, ma con una direzione

Non è un tema da poco. Gli studiosi dei sistemi sociali complessi invitano a non ingabbiarci in una visione terribilmente vicina a percorsi lineari. E cioè a immaginarcele come esperienze che conducono le persone da un punto A a un punto B. Mostrare un punto d’arrivo (un traguardo!) alle persone che investono tempo e risorse nella vita di comunità potrebbe perfino essere motivante, ma comporterebbe un rischio altissimo: dare forma ad astrazioni che bloccano sul nascere percorsi diversi da quelli previsti, limitando l’emergere di soluzioni alternative e, infine, ignorando tutti quei segnali evolutivi che in- dicano una nuova direzione quando una strada progettata non funziona più.

Ma adottare un approccio complesso e non-lineare può disorientare. A questo proposito Dave Snowden, autore del celebre modello Cynefin, ci offre un’interpretazione interessante in un suo webinar: “pensare in termini complessi e non-lineari non significa abbandonarsi alla casualità e all’imprevedibilità: offrire un senso direzionale è un’alternativa valida. E può essere utile ragionare in termini vettoriali, integrando tre fattori: conoscere verso quale direzione muoversi, con quale velocità e con quali sforzi. Quando uniamo la conoscenza di questi tre elementi con la consapevolezza di dove ci troviamo, siamo nella posizione ideale per affrontare il cambiamento, identificare dove partire e vedere dove ha senso intervenire”.

Quindi i sistemi viventi hanno sì molte possibilità di movimento, ma la realtà che viviamo ha sempre una direzione. È ciò che la fisica chiama “freccia temporale”. Ecco perché non possiamo reinserire l’acqua nel bicchiere, quando ormai è stata versata per distrazione sul pavimento. O dimenticare un’esperienza che ci ha segnato nel profondo. In altre parole, tutto ciò che ha a che fare con l’informazione può essere modificato, cancellato, copiato, riscritto, ribaltato: muovendosi avanti e indietro nel tempo. Mentre ciò che ha a che fare con la realtà ha anche elementi non modificabili: e cioè la materia (ciò che possiamo toccare, ciò che viviamo) e l’energia (ciò che viene accumulato e condiviso). Ed è questo l’orizzonte d’intervento vitale che vogliamo esplorare.

L’inizio è uno scambio, il percorso è una trasformazione

Possiamo quindi fissare un primo concetto che caratterizza le esperienze nel- le comunità trasformative: iniziano sempre con uno scambio che coinvolge informazione, materia ed energia. Questi scambi attivano un movimento, che trasforma le persone nei molteplici momenti in cui il progetto comune della comunità viene portato avanti.

Abbiamo definito l’inizio. Intorno a questo concetto possiamo ricominciare a parlare delle dinamiche che caratterizzano le interazioni nelle comunità trasformative, e cioè: regole di ingaggio, coinvolgimento, palinsesti e contenuti. Che diventano mezzi per percorrere una direzione comune. Ma cosa succede dopo? Quando gli scambi attraversano l’orizzonte multi-dimensionale delle comunità trasformative inizia a esistere qualcosa di nuovo, che viene reso concreto, tangibile e agibile: così il valore generato da tutti gli scambi si diffonde nelle persone che partecipano, negli spazi che vengono popolati, nelle organizzazioni che vengono attivate e in tutti gli ecosistemi allargati che vengono messi in relazione. È ciò che dà vita a un’esperienza in continua trasformazione.

I livelli di scambio

Ora proviamo ad andare avanti, per approfondire quali sono i livelli di scambio e quali livelli di trasformazione coinvolgono le persone in una comunità. È un approccio nutrito da neuropsichiatri come Jean-Michel Oughourlian che, nel volume Il terzo cervello, suddivide le nostre esperienze in: cognitive e mentali; emotive e affettive; mimetiche e relazionali. A partire da questi concetti, possiamo declinare tre tipologie di scambi di matrice esperienziale.

Generazione del valore

Quando le interazioni entrano in contatto con le dimensioni comunitarie avviene una generazione di valore collettivo, che viene “situato” nella scala della comunità e cioè: nelle organizzazioni, negli ecosistemi e nelle agentività coinvolte.

Livelli di trasformazione

Le comunità trasformative non si fermano al raggiungimento degli obiettivi, ma generano movimenti progressivi che fanno evolvere l’intero sistema alimentando impatti positivi tanto nelle persone quanto negli ambienti in cui sono situate.

  1. Informazione. È il livello zero degli scambi: riguarda tutti i contenuti, tanto quelli proposti dalle persone nella comunità (user generated content) quanto le micro-interazioni per richiedere supporto, così come i palinsesti top-down erogati attraverso le piattaforme e gli Le informazioni nelle comunità accelerano le possibilità di reperimento di ciò che serve rispetto a un obiettivo, interessi e valori condivisi.
  2. Materia. È tutto ciò che accade nelle persone: vita vissuta, problemi irrisolti, successi personali e collettivi. È qualcosa che esiste anche quando non ha una forma organizzata (come un contenuto, un dialogo o una conversazione). Possono essere foto, audio, video non strutturati, oppure attività collaborative. Questo livello si differenzia dal piano informativo principalmente perché può avere i contorni sfumati e non ha un significato immediato. Attraverso gli scambi e il supporto degli altri la “materia” viene messa a fuoco. Alimentando questo secondo livello di scambio, le comunità trasformative vengono percepite come luoghi sicuri, in cui potersi esprimere anche quando si è disorientati.
  3. Energia. Nelle comunità trasformative – così come nella realtà – ogni azione produce energia. È ciò che spinge le persone ad andare avanti, attraverso piccole e grandi celebrazioni, momenti di aggregazione e ogni situa- zione che esprime vicinanza, anche la più informale. L’energia che attraversa le comunità è l’elemento più tangibile della salute e coesione delle stesse. E genera quel piacere e quella soddisfazione che derivano dalla partecipazione.

Gli scambi di informazione, materia ed energia non devono essere intesi come ingredienti intercambiabili, con lo stesso peso. A seconda della forma che assumerà la comunità nel suo percorso evolutivo, possono ri-bilanciar- si. Ma una cosa è certa, anche se un livello prevale sugli altri, i rimanenti non devono mai spegnersi. Altrimenti la comunità smetterà di essere tale e devierà verso qualcos’altro: una rete informativa se domina l’informazione; un gruppo di ascolto se domina la materia; o una serie di eventi celebrativi se esiste solo l’energia. Sono evoluzioni alternative che non hanno connotazioni negative. Ma è opportuno tenere conto di queste variabili, perché comportano un rischio: la componente trasformativa, che vedremo tra poco, ha bisogno di tutti i livelli di scambio.

I livelli di trasformazione

Portare avanti un contesto trasformativo significa “far esistere – lentamente o velocemente – nuove regole, norme, logiche, relazioni sociali, e modi di fare” che, nelle parole di Matthew Wizinsky in Design after Capitalism, finiscono per “cambiare l’intero sistema”. E come abbiamo anticipato, quando i tre li- velli di scambio attraversano l’orizzonte multi-dimensionale delle comunità, questi cambiamenti progressivi diventano possibili e agibili. E cioè: chiunque si interfaccia con la comunità fa qualcosa che altrimenti non farebbe. Inoltre, tutto ciò che si agisce in relazione alla comunità influisce tanto sul contesto quanto sulle persone che vi partecipano. Possiamo immaginare i livelli di trasformazione come anelli che si espandono in quattro movimenti progressivi:

  1. Chiarezza. Grazie agli scambi che forniscono supporto reciproco, infor- mazioni rilevanti – disponibili al momento giusto –, tutto ciò che prima era nebuloso diventa chiaro. E continua a rimanere chiaro nel tempo. E ciò è importante soprattutto in contesti a elevata complessità, soggetti a cambia- menti. Così questo riorientamento verso la chiarezza assicura che i contributi che fluiscono attraverso la comunità rimangano utili.
  2. Consapevolezza. È un passaggio ulteriore, che ha bisogno di un certo grado di maturità nei partecipanti. È trasformativo perché fa comprendere in quale direzione sta andando la comunità e permette di percorrere il cambiamento insieme agli altri, non solo nell’immediato, ma anche in futuro.
  3. Adattività. La trasformazione successiva implica un’evoluzione della stessa forma della comunità. Abbiamo inserito questo elemento perché una delle potenzialità di un approccio People & Community centred riguarda la capacità di modificare – anche in maniera radicale – i presupposti e le conoscenze di partenza quando un evento modifica il Ma c’è un fattore ulteriore. Così come i sistemi viventi crescono e prosperano, allo stesso modo le comunità continuano a generare nuovi strumenti, idee e ambienti. E l’adattività è il risultato di un bisogno emergente che prende forma in oggetti e dimensioni nuove. È questo livello trasformativo che dona profondità di sguardo alle persone che – partecipando – acquisiscono nuove lenti per affrontare il progetto comune che le coinvolge.
  4. Prosperità. Possiamo intendere questa ultima trasformazione come un elemento tendenziale. Non esclude gli elementi precedenti ma li ingloba. Una comunità continuerà a prosperare quando tutti i partecipanti sapranno riconoscere ciò di cui hanno bisogno per renderlo tangibile e agibile nell’ecosistema che abitano, introducendo tutti quegli elementi migliorativi che portano benefici per tutti, anche al di fuori della comunità.