Networks connect, communities care

Una Visione completamente diversa Networks connect, communities care

Le comunità si costruiscono nelle “esperienze all’interno dell’esperienza”. Sono una connessione più emotiva tra gli individui, che fanno parte di più comunità a seconda della propria personale “dieta di appartenenza”.

Oggi tutti parlano di comunità. Ma cosa significa questo concetto, per te che sei un pioniere delle comunità di business?

C’è una definizione di Henry Mintzberg che mi piace particolarmente: “Una rete è un gruppo di persone connesse, una comunità è un gruppo di persone che se ne prendono cura”. E cioè, quando le persone pensano a una comunità hanno in mente una connessione più emotiva. Invece è difficile chiamare comunità una rete di persone senza alcun tipo di legame emotivo. Insomma, inizi a percepire il senso di comunità quando tieni davvero alle persone che fanno parte del gruppo e loro tengono davvero a te.

Possiamo identificare quattro aspetti legati alla comunità. Il primo riguarda ciò che ci accomuna, che solo in parte è sotto il nostro controllo. Il secondo aspetto ha a che fare con la possibilità di scegliere se far parte di una determinata comunità. Gli utenti di una piattaforma di social media hanno un’alta possibilità di scelta, perché basta un clic per cancellare il proprio account, mentre se si parla della propria famiglia la possibilità di scelta è più bassa. Il terzo aspetto è il valore che si ricava dall’appartenere a una comunità e il quarto è la sicurezza che ci offre. La comunità ci fa sentire al sicuro, questo è un concetto radicato fin dall’alba dell’umanità.

Comunità è un concetto così vasto che può essere utile aggiungere un attributo, quel “di” che definisce i perimetri. Secondo te questo basta?

Possiamo considerare le comunità come gruppi di persone accomunate sulla base di alcuni criteri: comunità di pratica, di interesse, comunità religiose ecc. Oppure possiamo focalizzarci su ciò di cui le persone fanno esperienza, su quanto percepiscano un senso di comunità. In quest’ultimo caso la risposta non è un “sì” o un “no”, ma uno spettro. In che misura avvertiamo un senso di appartenenza, una connessione, un’emozione? In questa prospettiva anche una business community può essere una vera comunità che genera un legame emotivo, un senso di appartenenza, un valore.

Forse dovremmo considerare la comunità come un’esperienza che le persone vivono insieme. Se invece parliamo di dinamiche di rete, non dovremmo confonderle con le comunità. Per esempio, le persone che hanno acquistato un’auto elettrica o gli ecosistemi in cui gruppi di individui devono collaborare per risolvere i problemi hanno in comune aspetti pratici e transazionali. La comunità ha un elemento in più: la componente emotiva, che spinge a prendersi cura l’uno dell’altro. Faccio un altro esempio: nel mio quartiere ci sono i vigili del fuoco. Non provo necessariamente un legame emotivo con tutte queste persone, ma se un giorno scoppiasse un incendio e i pompieri accorressero per salvare la mia casa, all’improvviso nascerebbe un legame, un senso di comunità e di gratitudine.

Parli del valore centrale delle esperienze, che però attraversano diverse comunità. Come individui, infatti, non apparteniamo a una sola comunità…

A livello individuale parlo di “nutrimento sociale” e credo che gli esseri umani abbiano bisogno di un’equilibrata “dieta di appartenenza”. Abbiamo bisogno di amici, famiglia, gruppi di interesse, sport, nazioni, luoghi di la- voro. Nessuna singola comunità ci fornirà tutto il nutrimento sociale di cui abbiamo bisogno e una sola forma di appartenenza non ci darà l’ampiezza di connessione di cui abbiamo bisogno.

Questa dieta cambia in base alle nostre priorità e alle diverse fasi dell’esistenza. Pensiamo ai social network: ci sono piattaforme sempre nuove, per un certo periodo tutti erano su Facebook, poi si è passati a LinkedIn e infine a TikTok. Penso che le persone stiano sperimentando una sorta di esaurimento per le comunità online. Ci sono così tanti spazi da tenere sotto controllo e non stiamo trovando quella connessione emotiva più profonda di cui abbiamo bisogno. Questo esaurimento porterà le persone a evitare comunità molto grandi e ho la sensazione che piccoli gruppi di chat saranno il prossimo grande trend delle community, assieme al ritorno della dimensione della presenza.

Negli ultimi anni le organizzazioni hanno cercato di costruire rituali digitali per tenere insieme le persone, ma per diventare vere comunità forse bisogna pensare al nutrimento sociale che alimenta i legami...

Mi piace parlare di “comunità costruite nei corridoi”: se vai a un evento, sai che non costruisci comunità stando seduto a guardare il palco. Le comunità si formano quando si esce dalla sala principale, si va in corridoio e si inizia una conversazione con qualcuno. La comunità si costruisce nelle “esperienze all’interno dell’esperienza”: sono le micro-interazioni e la serendipità che si verifica all’interno dell’esperienza principale.

Funziona allo stesso modo in ufficio: se stai seduto tutto il tempo alla tua scrivania, o se partecipi a meeting senza però avere la necessità di camminare per raggiungere la sala riunioni – che è un po’ come funziona il remote working – potrai entrare in relazione solo con chi è seduto accanto a te o con coloro con cui hai incontri regolari. Ma è difficile creare legami emotivi quando le uniche interazioni sono di tipo pratico, pragmatico e transazionale. Se non ci muoviamo, per- diamo parte delle connessioni.

Credo comunque che stia cambiando completamente il nostro rapporto con il lavoro e in futuro potremmo anche non fare affidamento sull’ufficio per sentirci parte di una comunità. Forse il lavoro sta diventando un’attività più transazionale: finisco il mio compito e poi mi sposto dove la mia comunità è molto più sicura e a lungo termine, come la famiglia, gli amici, i luoghi dove riesco a stabilire un legame più emotivo.

Non mi stupirei se i robot diventassero parte della nostra “dieta di appartenenza”

Le intelligenze artificiali generative sono sempre di più nelle nostre attività quotidiane. Entreranno a far parte delle nostre comunità?

Questa tecnologia è qui, cambierà molte cose, ma non ho idea di come le cambierà. Non sono né pessimista né ottimista, ma realista: ci saranno dei robot che faranno parte del nostro tessuto sociale, forse del nostro nutrimento sociale. C’è chi dice che gli umani non vorranno connettersi con i robot, ma non credo che sia vero. Perché qualcuno che si sente davvero solo non dovrebbe voler entrare in contatto con un robot in grado di creare esperienze simili a quelle umane, attraverso cicli di feedback e con capacità comunicative utili a gestire situazioni emotive difficili?

Penso che avremo bisogno di nuove regole e normative per cercare di monitorare la situazione, per assicurarci che ci siano trasparenza e responsabilità. Nel breve termine, invece, credo che le intelligenze artificiali generative saranno uno strumento che i community builder potranno usare per migliorare ciò che fanno e risparmiare tempo ed energia emotiva e mentale. Personalmente non mi stupirei se i robot diventassero parte della nostra “dieta di appartenenza”.