UFO. Unidentified Future Organizations Il lavoro aliena quando non è un gesto
Un punto di vista semiotico per interpretare e superare le nuove forme di alienazione. Per ricostruirne i significati a partire da una filosofia del gesto.
Qualche cosa di giusto Marx l’aveva detto. Che le persone siano spesso insoddisfatte sul lavoro è un dato di fatto, anche se l’epoca delle industrie disumanizzanti, per la maggior parte, è passata. Alle volte il lavoro è insoddisfacente nonostante tutte le buone intenzioni o i cattivi calcoli degli imprenditori e dei lavoratori. In compenso, come la storia economica politica e sociale ha dimostrato, Marx aveva torto a pensare che ciò dipendesse dalla proprietà privata o dai mezzi di produzione e che riguardasse principalmente una categoria come il proletariato. Le persone continuano a poter essere insoddisfatte anche nell’epoca delle app e si trova insoddisfazione a tutti i livelli.
Se si legge il lavoro nell’ottica della filosofia del gesto (Filosofia del gesto, Carocci, Roma 2021), i motivi di questa triste possibilità e, di contro, del senso di pienezza che il lavoro può dare, incomparabile con la maggior parte delle altre attività umane, appaiono più chiari. Il lavoro è un gesto, cioè un’azione con un inizio e una fine che porta un significato. Il “portare” un significato vuol dire che in certe azioni si capisce qualcosa di nuovo ed è tale comprensione trasformativa a essere all’origine del godimento o della soddisfazione. La filosofia del gesto, che nasce da studi avanzati di matematica e di filosofia, fa capire che le nostre azioni diventano gesti significativi e soddisfacenti quando godono allo stesso tempo di una serie di caratteristiche, che ricadono nel campo di due discipline dai nomi complicati, la fenomenologia e la semiotica. Lasciando da parte i nomi tecnici, che metterò tra parentesi, il dire che si ha bisogno di caratteristiche fenomenologiche e semiotiche significa che ci sono vari tipi di realtà e vari tipi di segno che sono coinvolti nel trasformare un’azione in gesto, ossia nel permettere che essa trasporti un significato, preveda la partecipazione dei suoi autori, non limiti la creatività, sia indirizzata a un fine.
I tipi di realtà coinvolti sono certi sentimenti o idee ancora vaghe (firstness), un contatto fisico (secondness), una regola d’azione (thirdness). I tipi di segno sono quelli che ci rappresentano un oggetto e le sue modificazioni in base alla loro forma (icone), quelli che fissano il riferimento a soggetti, oggetti o parti di oggetti (indici) e quelli che ne esprimono il senso (simboli).
Sembra un discorso teorico, ma la teoria si spiega subito quando proviamo a vedere che cosa succede al gesto lavorativo quando manca uno di questi elementi. Scopriremo così i vari tipi di alienazione contemporanea e poi ve- dremo come emendarli. Cominciamo, però, dall’alienazione antica, quella che Marx contestava: l’alienazione da lavoro di fabbrica pesante che, nella versione fordista, è stata rappresentata dalla catena di montaggio. Qui gli alienati appartengono a una categoria sociale specifica: il proletariato. Dal punto di vista delle categorie fenomenologiche e semiotiche precedenti, a questo tipo di lavoro manca sia la creatività che deriva da sentimenti e idee vaghe sia la possibilità di alterazione delle forme iconiche e di finalità simbolica: è una schematizzazione sul piano dei fenomeni e una ripetizione su quello dei segni.
Ma ci sono anche nuovi tipi di alienazione, che non possono più essere attribuiti a un’intera categoria ma che riguardano tutti i lavori e i lavoratori, a ogni livello. Proviamo a farne una piccola rassegna, tutt’altro che esaustiva, sperando che essa, per contrasto, metta in luce il valore positivo del lavoro.
Quando si tolgono sentimenti e idee, il lavoro smette di essere suggestivo e creativo
Quando togliete sentimenti e idee (firstness), per quanto vaghe, il lavoro smette di essere suggestivo, non ha più ispirazione. In ogni lavoro, quando togliete questo tipo di elemento, troverete persone senza attrattiva per ciò che stanno facendo, che lavorano reattivamente o schematicamente, incapaci di sentire l’importanza di ciò che fanno oppure, come capita agli intellettuali ideologici, persi in teorie astratte, fredde e rigide dalle quali non riescono a uscire. La mancanza di questo livello si è riscontrata spesso nella caparbietà ottusa dei responsabili di secondo livello, che si stia parlando di industrie, di associazioni, di corpi militari. Il subordinato senza ispirazione è sempre pericoloso per la tragica, rigida ripetitività.
Anche quando indebolite la fisicità (secondness), il lavoro diventerà astratto o, nella migliore delle ipotesi, una proiezione. Un’esemplare alienazione di questo tipo accade a chi, asceso a posti di responsabilità, non conosce (o non conosce più) in prima persona la dinamica effettiva del lavoro, che sia quello manuale, quello burocratico o quello scientifico. In questo caso, parole e comandi diventano vuoti di partecipazione effettiva e come tali vengono percepiti. L’insofferenza per i politici di ogni Paese spesso nasce dalla percezione di una loro lontananza in questo senso.
Un lavoro concepito come gesto mantiene la possibilità creativa e di scoperta, di fierezza e appartenenza
Se manca la regola d’azione (thirdness), il lavoro perde ordine. Com’è noto, non poche aziende falliscono per mancanza di capacità di organizzazione dei flussi di lavoro ed è per questo che si è inventata la figura dell’ingegnere gestionale e di altre figure che organizzino l’organizzazione. Ma non meno pesante è l’insoddisfazione che la mancanza di ordine provoca ai singoli lavoratori.
Passando ai tipi di segno, la mancanza di elementi iconici (quelli che riguardano la forma dell’oggetto) significa l’incapacità di variare le forme. In alcuni lavori, com’era la catena di montaggio, ciò era insito nella natura del lavoro. Lo stesso spesso accade nei lavori burocratici. Ma anche in questo caso troverà più soddisfazione chi avrà la possibilità di agire in senso migliorativo sui documenti o di utilizzarli in contesti nuovi o diversi. Altre volte, invece, sono le persone a essere diseducate alla creatività e ciò accade, almeno nei contesti occidentali, a causa di un metodo scolastico che predilige il pedante spezzettamento analitico del sapere alla costruzione sintetica.
L’assenza o la debolezza degli elementi indicali (quelli che fissano il riferimento a cose e persone) si riflette in due tipi di alienazione. Da un lato, è una mancanza indicale quella che lascia nell’indeterminatezza di attribuzione dei compiti, degli strumenti, delle funzioni. Inoltre, il corrispettivo di tale debolezza, è la mancanza di senso di appartenenza al luogo di lavoro. Entrambi questi aspetti connotano purtroppo le istituzioni pubbliche in Paesi come l’Italia e, per questo, negli ultimi anni sono stati oggetto di studio per la comunicazione interna. Anche i lavori solitari, però, quelli delle partite IVA soffrono spesso dell’assenza di questo senso di appartenenza.
Infine, la mancanza di un forte aspetto simbolico si vede nell’assenza di un fine sufficientemente universale della propria azione lavorativa. Che un dipendente sappia qual è il fine del proprio lavoro particolare, ma anche il fine dell’intera azione della propria azienda, pubblica o privata, è elemento centrale di un lavoro che sia un gesto conoscitivo e trasformativo. Oltre alla catena di montaggio antica e a quelle moderne alla Amazon o dei call center o dei lavori di fatica come i rider e i braccianti del caporalato, la mancanza di fine universale è stata riscontrata così tanto da rendere necessaria l’esplicitazione di una mission dell’azienda o, come nel caso delle banche, di una costituzione etico-sociale. Di fatto, questo livello spiega che senza un fine adeguato alle esigenze più profonde dell’uomo, il lavoro rimane sempre angusto e il lavoratore sempre insoddisfatto.
In definitiva, l’insoddisfazione alienante sul lavoro ha dimensioni molteplici e una seria considerazione del lavoro come gesto le fa comprendere ed anche emendare. In positivo, un lavoro concepito come gesto è quello in cui, in qualsiasi posizione si trovi, il lavoratore mantiene possibilità di creatività e di scoperta, di fierezza di appartenenza a una squadra dove si sa chi è responsabile di cosa, e in cui c’è un ordine lavorativo finalizzato a una serie di scopi particolari che si inseriscono nello scopo generale dell’azienda. La formazione a questa molteplicità di aspetti risulta necessaria a ogni livello e deve essere la preoccupazione di chi voglia restituire al lavoro la sua funzione di trasformazione del mondo che connota l’uomo fin dalle sue origini remote, nelle quali sviluppò questa capacità insieme a quella del linguaggio e del senso religioso, le tre dimensioni che lo costituiscono.